venerdì 21 giugno 2013

#WomenEdsWeLove - dove sono finite le #donne che fanno #giornalismo?

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Copertina del Port Magazine
La copertina di giugno del Port Magazine ha creato non pochi mal di pancia fra le redattrici donne, in America. Questo perché mostra quelli che secondo la rivista sono gli editors che stanno cambiando il giornalismo. Fra di loro nessuna donna. Amy Wallace, ha reagito creando un hashtag sull'argomento che raccoglie le reazioni di giornaliste da tutto il mondo. Per la serie: se non siete voi a darci il riconoscimento che meritiamo, ce lo prendiamo da sole.
Se dedicate un po' di tempo a seguire la discussione noterete, come sostiene anche la Wallace in un'intervista per Poynter, che le giornaliste non sono né invisibili né difficili da trovare. Ogni giorno, tante colleghe fanno il loro lavoro con serietà e passione quanto i propri colleghi uomini. Solo che è facile dimenticarsene. Anche per questo Roberta Meyers è intervenuta su Elle Magazine per ribadirlo. Ma non basta. La Meyers racconta che durante una lezione alla Columbia stava mostrando agli studenti tante storie importanti pubblicate su Elle e uno studente è intevenuto per domandarle come si sentisse a sapere che nessuno le legge. Beh, basti sapere che Elle è letto da otto milioni di donne che, dal sentire comune perfettamente espresso da questa giovane leva del giornalismo americano, vengono percepite come "nessuno".
Se anche voi vi sentite considerate "nessuno" e non siete d'accordo, v'invito a contribuire alla discussione su #WomenEdsWeLove, a promuoverla se volete e a farvi sentire. Forse è ora che alziamo la voce anche noi giornaliste italiane.
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sabato 8 giugno 2013

C'è del marcio in #Wisconsin - #formazione e #giornalismo #nonprofit

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Anche negli Stati Uniti si discute del finanziamento pubblico al settore editoriale. Succede in Wisconsin, dove il Center for Investigative Journalism viene espulso dalle strutture del Campus a causa del provvedimento di un comitato legislativo che impedirebbe anche al personale universitario di partecipare alle attività dell'associazione.
Lo racconta (per chi mastica l'inglese) approfonditamente il Nieman Lab di Harvard. Il protavoce Repubblicano Robin Vos è stato l'unico a cercare di dare una spiegazione, seppur parziale, alla vicenda: "non volevo che il denaro dei contribuenti andasse al centro di giornalismo investigativo perché ritengo fosse mosso da pregiudizi".
Il Centro sopravviverà grazie a donazioni di privati come ha fatto finora, anche senza utilizzare le strutture universitarie, ma gli unici a subire danni da questa decisione saranno gli studenti del corso in Journalism and Mass Communications per cui diventerà illegale secondo le leggi dello Stato mescolare attività didattiche all'attività del Centro.
Si tratta di una questione complessa perché è un'organizzazione non profit, perché si tratta di giornalismo e quindi di libertà di stampa (il Centro aveva anche avuto qualche scoop che riguardava il Parlamento del Wisconsin), perché in queste sedi si formano le nuove leve del giornalismo statunitense (e sappiamo tutti che senza pratica e sperimentazione lo studio della professione diventa sterile), perché è un momento molto critico per la stampa anche oltreoceano.
Quello che io, da italiana, posso fare è un confronto con il nostro paese sempre indietro e in cui esperienze di ricerca e sperimentazione giornalistica fanno fatica persino a nascere, schiacciate dalla mancanza di fondi e dalla (pessima e spesso giustificata) reputazione di cui gode il giornalismo in certi ambienti. Finanziare il giornalismo coi soldi dei contribuenti forse è sbagliato, investire sulla formazione dei giornalisti però apporterebbe benefici alla collettività.
Farebbe bene, a certi politicanti di bassa lega che meditano vendette sui giornalisti, riflettere sul fatto che alla base di una sana democrazia (diretta e non) sta anche un sano giornalismo in cui la formazione ha un ruolo di primo piano.
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sabato 6 aprile 2013

#Crowdfounding e #giornalismo: nei Paesi Bassi si può

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Sareste disposti a comprare un abbonamento annuale a scatola chiusa? I lettori olandesi sì.
L'idea del giornalista Rob Wijnberg, proposta alla tv nazionale olandese il 18 marzo scorso, era ambiziosa: raccogliere 15mila abbonamenti annuali da 60 euro (900mila euro in totale) per un giornale che ancora non esiste. Impossibile? Non proprio. L'obiettivo è stato raggiunto e superato in circa una settimana. E oggi il De Correspondant ha raccolto circa un milione di euro.
Di come sarà il nuovo giornale online nessuno sa ancora nulla, nemmeno i suoi fondatori. Le uniche informazioni a disposizione del pubblico fanno parte di un manifesto di dieci punti riassumibile così:
  1. Quotidiano, ma oltre i fatti del giorno.
  2. Dalla notizia alla novità.
  3. Nessuna ideologia politica, ma ideali giornalistici.
  4. Temi e interconnessioni.
  5. Giornalismo e fatturato.
  6. Da lettori a partecipanti.
  7. Non inserzionisti ma partner.
  8. Nessun target ma anime affini.
  9. Ambizioso negli ideali ma modesto nella saggezza.
  10. Completamente digitale.
 Al di là del fatto che la strategia commerciale è azzeccata  (puntare su novità, partecipazione, etica e qualità è sempre una mossa vincente) sorgono dei dubbi sulla fattibilità di un progetto simile in Italia. Senza voler tirare in ballo la questione dell'analfabetismo di ritorno recentemente riportata all'onore delle cronache da Tullio De Mauro e frutto di una società, la nostra, in cui la parola scritta si è diffusa fra le masse da poco meno di un secolo, appare evidente che il nostro paese non è pronto ad innovare l'industria editoriale.
Prima di tutto per una questione infrastrutturale: la capillare diffusione della banda larga lascia comunque ampie sacche di popolazione scoperte, quindi è difficile sviluppare prodotti multimediali e interattivi.
In secondo luogo per una questione culturale ed economica: sarebbe davvero così facile per un paese come l'Italia, con quattro volte gli abitanti dei Paesi Bassi, raccogliere tanti abbonamenti in un lasso di tempo così breve e al buio? Siamo disposti a pagare per leggere un giornale online o per finanziare un'iniziativa del genere senza nessun tipo di garanzia?
Io penso che i dieci punti del De Correspondant siano condivisibili e sarei pronta a scommettere in prima persona su un progetto del genere, mi piacerebbe sapere la vostra.

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sabato 16 marzo 2013

Marta Grande, laureata immaginaria?

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Premetto che ero partita prevenuta e scrivo questo post principalmente per fare ammenda. Sono fra quelli che hanno insultato e deriso immeritatamente Marta Grande quando è saltata fuori la faccenda della laurea "finta". Ahimè, la prossima volta imparo a fidarmi di Libero (cosa mi è saltato in testa?).
Dicevo, ne approfitto per scrivere un post in cui vi spiego come mai Marta (la chiamerò per nome, ormai, suvvia, che è una mia quasi coetanea) in realtà è effettivamente più o meno laureata e su come, secondo me, avrebbe dovuto comunicarlo (eh beh, io la laurea ce l'ho in Comunicazione, mica in FLIT).
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giovedì 14 marzo 2013

#GoogleGlass - il giornalismo italiano è pronto?

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Google Glass
Stamattina ho letto un interessante articolo uscito su Poynter che analizza il potenziale dei nuovi Google Glass per la creazione di app d'informazione.
L'articolo racconta come i nuovi occhiali potranno essere utili per diffondere i titoli delle notizie che verranno poi lette da un sintetizzatore vocale integrato nel dispositivo.
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